Entrando in Brunei dal Sarawak, la parte Est del Borneo malesiano, mi è stata data da compilare l’usuale carta d’ingresso per stranieri. Questa porta via solitamente pochi minuti e con qualche crocetta, dettagli personali e numero di passaporto si è a posto. Quella del sultanato del Brunei non fa alcuna differenza nella sostanza, solo un’ultima domanda ha destato il mio interesse e mi ha colpito più e più riflettendo sui suoi significati. La domanda era questa: “Razza?” Niente di più, posta dopo sesso e nazionalità. Ne ho discusso con la persona con cui viaggiavo: “che razza siamo?” Più ci pensavo però è più trovavo la cosa assurda ed imbarazzante. Razzista in una parola, cosa altro è razzista se non dividere il genere umano per razze?
La prima risposta del mio compagno di viaggio è stata “bianchi”, ma questo ovviamente non ha alcun senso, anzi è la peggiore possibile delle risposte. Distinguere tra uomini per il colore della pelle non solo è ultra discriminatorio, ma anche insensato. Bianco, nero e giallo formano una descrizione a dir poco riduttive delle sfumature che la pelle dell’umanità ha acquisito nel suo percorso evolutivo. Ed inoltre, per quanto io mi possa dire bianco senza che la cosa mi offenda, cosa dovrebbero scrivere altri? I così detti neri, ma anche Indiani, mongoli, magrebini? Chiunque non rientri in una delle grandi caselle cosa dovrebbe fare? Aggiungere nomi allo spettro di colori delle razze? È semplicemente assurdo e può risultare profondamente offensivo. La seconda risposta è stata “Caucasici”. Che ha un tono più scientifico, almeno al primo impatto. Ma pensandoci bene non ho idea di cosa significhi essere Caucasici. Ha però almeno un sapore geografico che suona meglio alle mie orecchie che sono state educate alla basilare idea che il termine razza al fianco del termine uomo semplicemente non ci dovrebbe stare. Mi tengo il dubbio quindi per quanto non convinto. Nella casella semplicemente faccio un punto interrogativo, così che magari ci faranno un pensierino anche loro. Sia chiaro che non ne faccio una colpa al sultanato del Brunei, per quanto il dubbio di una volontà discriminatoria mi passi per la mente. Magari questi fogli sono vecchi di decenni, magari in un piccolo Stato chiuso e fortemente religioso come questo il numero delle università, le cattedre di antropologia e simili, non abbondano. Chiudiamo un occhio sulle colpe insomma.
Torniamo alla questione del Caucasico o meno invece. Dove sentiamo questo termine? In una sola circostanza per quel che ne so io, almeno con regolare frequenza: durante le elezioni americane. Caucasico serve a distinguere da latinos e afro-american. Ha senso, almeno giornalisticamente, cercare dei nomi generici che racchiudano grandi gruppi di opinione quando si tratta di prevedere l’andamento di elezioni democratiche. E la stampa Americana, come quella britannica, è generalmente estremamente attenta a scegliere questi nel modo più corretto possibile. È cautela necessaria in Stati in cui la miscela di provenienze è tanto ampia e molti dei modi in cui la stampa italiana invece comunica sarebbero considerati discriminatori. Ma questo è un’altro discorso. Da dove proviene il termine Caucasico però? Identifica, sì, parte del genere umano in quanto proveniente dal Caucaso, al confine tra Europa orientale ed Asia occidentale. Ma perché proprio da là? Per quanto in effetti questa sia considerata una delle culle della civiltà, in particolare di quella europea, non è tutto qui, c’è anche un’altra ragione. Il Caucaso sarebbe stato il luogo dove l’Arca di Noè è attraccata al placarsi dell’Ira divina. Chi ne è uscito, i caucasici quindi, sono i sopravvissuti al diluvio. Sarebbe a dire: i giusti. Non esattamente la risposta scientifica che cercavo. E poi intendiamoci, nella classificazione della stampa americana Caucasici significa bianchi, quindi si torna al punto di partenza ed avendo inoltre aggiunto un antipatica distinzione moralistica di origine religiosa.
Insomma come sta questa faccenda delle razze quindi? Molto semplicemente le razze non esistono. O meglio, visto che le classificazioni sono uno strumento umano per suddividere certi elementi, queste dipendono dai parametri che si sono inizialmente scelti e quindi anche dalla volontà e dalle idee di chi la classificazione la mette in pratica. Chi vuole vedere differenti razze, insomma, può giustificare la propria scelta in qualche modo e farlo. Questi sono chiamati razzisti e molti ancora oggi lo sono scientemente, per scelta e con (un peculiare tipo di) cognizione di causa.
Per quanto come detto i razzisti rappresentino una posizione all’interno di questa discussione ed in alcuni caso si appellino alla forma del cranio e non al colore della pelle, a me pare che dividere per razze abbia come scopo primario quello di poter poi sostenere una gerarchia tra queste. Noi siamo alti e biondi voi bassi e scuri: noi siamo migliori di voi. Dura trovare un’utilità in questa pratica ma per alcuni appare essere importante e la cosa ha effetti devastanti, come la storia insegna. Chi non ha gerarchie in mente si accontenta di distinzioni che considerino l’evoluzione e il mescolarsi dei popoli ed il loro adattamento ai territori in cui abitano. L’uomo è una specie animale e niente più. Se si vuole distinguere fra questi si parla di etnie, evidenziando le differenze di radicazione nel territorio e adattamento, di linguaggio, cultura, religione, usi. Un ramo genealogico con caratteristiche tramandate geneticamente, dice più o meno la definizione. Questo si che suona migliore come metodo di differenziazione!
Certo se in Brunei mi avessero chiesto di che etnia faccio parte non avrei comunque saputo cosa rispondere, però la cosa non avrebbe offeso nessuno.
La posizione ufficiale UNESCO sulla questione, riportata su un testo titolato “La questione delle razze”, è questa: “Gruppi nazionali, religiosi, geografici e culturali, non coincidono necessariamente con gruppi razziali: e i tratti culturali di tali gruppi non hanno un dimostrabile collegamento genetico con tratti razziali. Poiché gravi errori di tale natura si compiono abitualmente quando si utilizza il termine ‘razza’ nel linguaggio comune, sarebbe preferibile espungere totalmente il termine razza da discorsi che si riferiscono a razze umane, utilizzando invece il termine gruppi etnici“. Molto chiaro no?
Cambiando almeno apparentemente argomento, una ragazza inglese una volta ha sostenuto durante una conversazione a cui ho preso parte che è provato che le persone di colore sono meno evolute in quanto il loro volto assomiglia a quello delle scimmie, cosa che evidenzierebbe il loro far parte di una sfera evolutiva inferiore a quella dell’uomo bianco. Questo argomento è molto banale ed è stato sostenuto molte volte nel corso dei secoli passati. È profondamente ignorante ovviamente, ma apre domande interessanti. Con un minimo di cultura storica si saprebbe che questa argomentazione non è solo razzista, ma semplicemente un non senso. Forse non fa piacere sapere a chi sostiene idee simili che tutti noi homo sapiens proveniamo in un certo modo dall’Africa e che quindi, osservando i suoi abitanti oggi, siamo tutti nati “di colore”, per quel poco che questo termine significa. E se il mutare da questi africani originari ci avesse reso evolutivamente superiori allora tutta la teoria della conservazione di un specifica stirpe, o razza, come era nella teoria sulla razza ariana superiore, andrebbe a cadere. Sarebbe stato il mescolarsi agli altri ad averci migliorato, non l’essersi chiusi agli scambi. Ma che significa essere migliori o peggiori? Perché un tipo di uomo sarebbe migliore di un’altro? Le differenze profonde tra uomini a livello fisico, esattamente come nel resto del mondo animale, sono determinate dall’adattamento al territorio. Evoluzione, infatti, non equivale a miglioramento, ma ad adattamento. In questo senso, nell’essere più adatti al luogo che ci ospita ed alle due condizioni, siamo migliori. L’evoluzione ci ha reso quel che siamo, proprio come per gli animali della savana che si sono adattati a nutrirsi dall’albero di acacia ognuno prendendo solo una parte di questo e lasciando il resto agli altri. Fino a dar vita ad una meraviglia come la giraffa che è quel che è per raggiungere parti di quella pianta precluse ad ogni altro. Il mondo animale è pieno di questi esempi. Continenti interi lo sono. Cosa è un animale nativo se questo quando cambia territorio si evolve e muta con esso? Perché un continente come l’Australia, che è esempio della meraviglia dell’evoluzione in modo lampante come pochi altri, può essere anche il luogo di una delle più sanguinose ed accese lotte su chi sia il popolo nativo ed a chi appartenga o meno la terra in questione? Perché animali e piante convivono, si spartiscono il territorio, combattono anche, ma con un equilibrio di fondo? Mentre i britannici, per rimanere sull’esempio fatto, hanno dovuto occupare con la forza un territorio in cui altri a loro modo abitavano, sterminandoli o cercando di mutarne gli usi, arrivando oggi ad una situazione assurda in cui un’intera etnia è esclusa, trattata come intrusa su di un territorio in cui ha sempre vissuto? Se siamo una sola specie e tutti i continenti erano un tempo uniti, chi è popolo nativo e chi no? E che senso ha chiederselo? Perché non siamo in grado di vivere uniti, l’uno rispettando lo spazio dell’altro? Eppure gli animali ci riescono senza possedere i doni che la natura ha dato noi, come il raziocinio ed il linguaggio. E loro nemmeno fanno parte della stessa specie.
Perché l’uomo si deve appropriare di territori? Forse ci sentiamo così piccoli e destinati a sparire tanto velocemente dai destini di questa terra che ci è necessario dare nome e fare nostre le cose ed i luoghi. Per quanto questo sia assurdo, puerile quanto il gesto di un bambino che afferma che una tal cosa è sua e di nessun altro per poi scordarlo pochi attimo dopo. Viene da pensare che la natura nel suo casuale ma ordinato evolversi a volte compia il suo lavoro troppo bene, dando forma ad esseri troppo forti e voraci. Esseri parassitari che prendono tutto e niente rendono. Il serpente ad esempio vive da millenni come predatore, raramente ha utilità nel bilanciare la catena alimentare, ma è troppo ben costruito per sparire. L’uomo sfortunatamente sembra essere il più evidente esempio di questi esseri parassiti. Abbastanza evoluto da comprendere, ma capace solo di distruggere riproducendosi fino all’esagerazione.
Se capitate in Brunei quindi, a meno che non abbiate le idee più chiare di me, fate un qualche segno su quella carta in modo da mettere in evidenza che la domanda non ha senso ed andrebbe eliminata.