Durante la mia permanenza in India per giorni ho tentato tramite vari contatti di organizzare una visita ad un villaggio di montagna nel Nord dell’India. Per quanto in molti sarebbero stati felici di essere d’aiuto il fatto che mi accompagnasse una ragazza al di fuori dei vincoli del matrimonio risultava inaccettabile. Troppo conservatrice la cultura da quelle parti e radicata la tradizione. A volte, però, quando davvero si desidera qualcosa questa accade, rendendo futili i preparativi.
Il destino era in agguato nei pressi di Nainital, Uttarakhand. Una località di montagna caratterizzata da un cristallino lago appollaiato intorno ai 2000 metri di altitudine. Questa regione è meno nota ai turisti occidentali rispetto ad altre del nord indiano. Molti si immergono fra le montagne sulla strada che attraversa l’Hymachal Pradesh verso il Piccolo Tibet, il Ladakh. Per buona parte del turismo occidentale l’intero Uttarakhand si riduce alla cittadina di Rishikesh. Resa famosa dalla permanenza dei Beattles negli anni settanta è oggi la casa dello yoga, con quasi più ashram e yogi che abitanti.
Per gli indiani l’Uttarakhand è invece una delle regioni più importanti e significative dell’intero paese. Qui nasce il Gange, il fiume sacro, che ha origine dal ghiacciaio Gaumukh, per poi attraversare Gangotri, Rishikesh e Hardwar. Questi sono luoghi di pellegrinaggio privilegiati. Ogni buon Hindu dovrebbe recarsi almeno una volta nella vita alla fonte del fiume sacro. Se a Rishikesh, specialmente in stagione, ormai non c’è più posto per i pellegrini, visto che le sabbiose e pulite rive del Ganga sono invase dagli occidentali in cerca di spiritualità e cibo continentale, Hardwar invece resiste nella sua originalità. Forse perché troppo caotica e ancora troppo “indiana”. Questa è una delle principali sedi del Kumbh Mela, ritrovo che si tiene ogni tre anni a rotazione in quattro differenti località lungo le rive del Gange. É considerata la più grande pacifica riunione di anime al mondo (erano più di 100 milioni i fedeli nel 2013 ad Allahabad).
Gli abitanti di Hardwar sostengono che questa sia il luogo con maggior affluenza di visitatori dell’intera India. Cosa ne è del resto di questa regione allora? Cosa si trova al di là dei volti emaciati dei sadhu che punteggiano le vie se ci si spinge più a nord verso l’Himalaya? Si trova una terra incontaminata, tra le ultime in cui la plastica non sia regina. Incastonato tra Nepal e Cina con queste condivide una spettacolare catena montuosa. Mentre il cuore sud-ovest dello stato è costituito dal Corbett National Park. Una foresta protetta, casa di tigri, orsi, scimmie, cervi, enormi aquile e leopardi di montagna.
In attesa di un autobus che da Nainital mi avrebbe portato verso Ranikhet e poi più a nord a Kausani, vengo approcciato da Prem Prakash. Prem sta tornando verso casa dopo il fine settimana di lavoro nella cucina della guest-house di sua sorella. Mi consiglia di dividere con lui una jeep invece di aspettare il bus, visto che il prezzo sarebbe stato più o meno lo stesso. Quando infine raggiungiamo Ranikhet è già pomeriggio inoltrato, tardi per spingersi ancora più a nord. Prem mi offre ospitalità nella sua casa, preoccupato che la notte arrivi trovandomi ancora in viaggio. Casa è un piccolo villaggio chiamato Kalakhet.
È così che adesso siedo a scrivere sulle scale senza parapetto di una spoglia casa affacciata su di un enorme vallata, dove giace il Corbett Tiger Reserve. Mentre alle mie spalle riluce la vetta innevata del Nanda Devi che incontra i raggi solari a 7,800 metri di altitudine. Kalakhet è formato da una cinquantina di case sparse lungo un fine crinale intorno ai 2200 metri. Qui la vita è ferma nel passato. Unica differenza da 500 anni fa, o più, sono l’elettricità e le automobili che consentono di andare e venire dai villaggi vicini in tempi più rapidi. L’elettricità comunque serve solamente a fare un poco di luce la sera, mentre le poche jeep portano una quindicina di persone alla volta specialmente la mattina presto e la sera. Per il resto tutto è fatto a mano grazie alla terra e al mal di schiena. Quasi non c’è produzione di rifiuti, o uso del denaro. Anche gli spazzolini da denti destano ancora stupore, visto che al loro posto si usano qui ramoscelli presi dall’albero di neem.
Al nostro arrivo la sorpresa è grande per tutti. Per noi che ci troviamo davanti il più spettacolare dei tramonti, per gli abitanti del paese e specialmente i bambini che mai prima hanno visto gli angrez di persona. Tutti gli stranieri ricadono sotto questo appellativo, che altro non è che la deformazione di English, gli inglesi. Mentre gli occhi dei bambini rischiano di scivolare fuori le palpebre, dalla valle risalgono tre donne, il volto nascosto dall’enorme covone d’erba che trasportano in bilico sulla testa. Sono una splendida immagine, nei loro sarii colorati, si muovono a schiena dritta con passi lenti ed eleganti. Anch’esse scivolano via, timide, per una volta ringraziando la presenza dell’erba secca che nasconde i volti imbarazzati.
La lingua sarà una vera e propria barriera per l’intera permanenza. Solo Prem Prakash e il suo nipote più grande Sumil Kumar, 17 anni, parlano abbastanza da capire e farsi intendere. Per esempio ci è voluto del tempo per capire che l’offerta di fare swimming altro non fosse che lavarsi. Con i bambini questo non causa alcun problema. Sono entusiasti della nostra presenza e non solo perché saltano scuola per un paio di giorni… Ravì, 9 anni, in particolare diventa la mia ombra e un esperto fotografo in pochi ore. Molte delle foto con cui sono ripartito sono state scattate da lui, che si è premurato di includere ogni minimo dettaglio della montagna così che non dimenticassi niente. Come in ogni casa indiana che si rispetti la privacy è inesistente e tutto ciò che possediamo è passato al vaglio scrupolosamente. Noi stessi non siamo mai lasciati soli a meno che non ci si chiuda a chiave in camera, con la certezza comunque di trovare almeno due o tre bambini ad aspettarci al di là di della porta.
Segue seconda parte.