Col passare del tempo inizio a notare i complicati intrecci di questa piccola comunità. Le differenza di casta giocano sempre un ruolo importante anche fra queste poche famiglie. Alcuni sono ammessi nella casa altri no. Nemmeno i bambini delle famiglie fuori casta sono ammessi ad entrare in casa a giocare, seppur non demordano facilmente. In special modo una donna che vive poco lontana ed è stata lasciata sola dal marito vive ostracizzata e così i suoi figli. Poche sono anche le bambine in generale rispetto al numero dei maschi, ma su questo preferisco non fare ipotesi. Fra le stesse famiglie che abitano fianco a fianco la situazione non è migliore. Le mogli dei due fratelli non si parlano e conducono, assurdamente, vite attigue ma totalmente separate. La conseguenza è che ogni pasto diventa una competizione fra le cuoche e inevitabilmente un doppio pasto per noi. Colazione, pranzo e cena. I caratteri delle due donne si delineano via via che la timidezza sparisce. La moglie del fratello di Prem Prakash ci coinvolge sempre di più nelle attività della fattoria. Le principali sono il pestaggio del peperoncino seccato al sole, di cui è stagione in novembre, e la lavorazione del latte delle bufale. Con queste si produce burro e panna. Le fruste usate per lavorare il latte somigliano a quelle con cui noi montiamo la panna montata, solo che sono alte due metri e necessitano di ritmo e forza. La panna che ne esce è la più pura e fresca che si possa immaginare, così come lo yogurt che somiglia alla nostra burrata.
Tutte le attività legate ai campi sono portate avanti dalle donne, così come la cura dei bambini. Dagli uomini ci si aspetta che fra un chai e un bidi portino a casa qualche soldo. Le donne la mattina si recano ai campi liberando anche le mucche e i bufali al pascolo. Coltivano principalmente tuberi, come grandi cipolle, di cui ne portano a casa alcuni per i pasti del giorno. Prima di tornare verso casa tagliano covoni di lunga erba secca con cui sfamano gli animali. I bambini si recano al vicino pozzo per raccogliere secchi d’acqua per la giornata. Con quest’acqua fanno tutto, dal lavarsi al cucinare. Si pensi che il piano terra della casa è adibito a stalla, anche perché in inverno qui il freddo si fa sentire ed essere ad un piano di distanza dal suolo fa la differenza. Meglio ancora se il suolo è coperto di escrementi. La presenza di questi ultimi è costante e una minaccia per la nostra salute di occidentali (come scoprirò bene in seguito).
I pasti sono semplici, anche se vista la nostra presenza il menù si deve essere ampliato non poco. Riso al limone, uovo al curry, yogurt e chapati. Passare le ore calde del giorno al sole sulla veranda è un piacere semplice ma profondo. La foresta intorno a noi è costituita principalmente da grandi pini, così che il fuoco ha sempre il profumo aromatico di questo albero. Accanto a me riposano i peperoncini nel loro rosso brillante. Poco più in là la mia amica Johanna dipinge sul suo taccuino e i bambini pur di star con lei disegnano silenziosi. La comunicazione col passare del tempo migliora molto con tutti, ma in particolare con i più giovani. In generale tutti si sono abituati alla nostra presenza e ci pregano di rimanere costruendo casa. Da angrez siamo diventati angrezJi. Essendo l’aggiunta Ji alla conclusione dei nomi un segno di rispetto ed affetto in Hindi.
Col passare dei giorni tutti gli abitanti del paese la cui casta lo permette vengono a trovarci. O meglio guardarci. Visto che per quanto molti vantino figli anglofoni in una delle tante metropoli del paese, nessuno lo padroneggiava abbastanza da impostare una vera conversazione. Tutti gli incontri girano intorno al chai, il tè, bevuto all’inglese misto al latte, ma anche ad abbondanti quantità di zucchero. “Passa a prendere un chai”, “unisciti a noi per il chai”, detto a gesti ovviamente. Niente di differente dal nostro caffè: una scusa per riunirsi. Il silenzio, però, rende questi frequenti chai troppo imbarazzanti, così che iniziamo ad eclissarci. Ricordo bene come una volta sia stato intercettato da una signora anziana che già nei giorni precedenti era venuta a trovarci/guardarci. Ho fatto l’errore di accettare la sua offerta, così da trovarmi circondato dalle quattro figlie, il marito, due figli maschi, mucche, capre, cani e probabilmente altri che non ricordo. Io unico seduto su una sedia mentre tutti gli altri si accomodano per terra. Un minuto di silenzio con tanti occhi addosso può diventare interminabile. I molti scuotimenti di testa, tradizionale segno di assenso indiano, non possono essere davvero considerati una conversazione. Ad ogni cosa detta da me, inoltre, seguono risolini, o semplicemente sguardi di incomprensione. E viceversa. Non sono nemmeno riuscito ad aspettare il tè. Sono scappato balbettando una qualche scusa mentre ero già sulla via di casa. Il bello di viaggiare è anche che le figuracce si dimenticano in fretta.
Comunque, quel che conta è che i paesani che in teoria non avrebbero dovuto accettare la nostra presenza, data l’unione non consacrata, alla realtà dei fatti sono stati entusiasti di averci tra loro. Ed ogni giorno tutto è diventato più naturale, fin quando la nostra presenza è sembrata una normalità. Quasi. Cioè per quanto la presenza di due individui che provengono da luoghi lontanissimi sia nel tempo che nello spazio possa diventare normale. A volte non si è solo corpi umani e sorrisi, ma delle vere e proprie sfere culturali che irrompono nei luoghi mutandoli. I nostri volti, i capelli biondi di Johanna, i nostri (fortunatamente pochi) oggetti, i vestiti così diversi, la grandezza inconcepibile del mondo per chi mai ha lasciato un villaggio, l’idea stessa di turismo, viaggio di piacere, prendere aeroplani, superare oceani… Ma sopratutto i maledetti soldi. Il denaro ha un potere incredibile nel distruggere, o comunque destabilizzare, i rapporti umani. Mentre noi eravamo abbagliati dalla loro vita autosufficiente, senza banche o supermercati, nella mente degli adulti a poco a poco si è fatto sempre più largo l’idea che eravamo ricchi. Inutile spiegare loro che non tutti gli occidentali sono ricchi, ma che è la loro moneta a renderci tali quando ci troviamo in India. Ma di fatto in un paese in cui 100 euro bastano per mesi volendo, e sono la paga mensile media nelle città, anche due ex camerieri diventano ricchi. L’offerta genuina, spontanea, di ospitalità di Prem Prakash si è a poco a poco mischiata all’idea che questo incontro poteva forse fruttare qualcosa di più.
Questo ha segnato il momento della partenza. Niente di male è accaduto, ma piccoli segnali hanno cominciato ad incrinare quell’aria fantastica da vita nel medioevo. Che sono cosciente fosse un’era pericolosa e difficile, ma anche colma di tutto ciò che questa era non possiede se si è nati nelle città del nord del mondo. L’effetto euforizzante del denaro ha preso in particolare il nostro diretto ospite, cioè la famiglia più ricca e già legata al denaro, visto che Prem Prakash come detto è cuoco nelle località turistiche (10000 rupie, circa 120 Euro, al mese più o meno lo stipendio). Mentre ha suscitato solo una singola richiesta da parte del fratello della casa vicina. Una richiesta diretta, senza giri di parole, fatta da un uomo che ha iniziato il discorso dicendo: “Io sono povero, ma lavoro duro”. Il suo mestiere è costruire semplici mobili in compensato, solitamente acquistati dalle famiglie dei nuovi sposi. Dopo avermi spiegato che solo uno dei tre figli continuerà la scuola dopo il dodicesimo grado, perché la retta annuale è 2500 Rupie, 30 euro, è seguita la richiesta: un computer per il figlio. Anche il più scadente dei computer è, come si può immaginare, totalmente fuori dalla loro portata.
Così che quel che mi rimane in mente oltre agli splendidi ricordi è che devo portare un computer a quel ragazzo. E magari anche un aiuto per pagare la retta scolastica di Ravì, che avrebbe lasciato tutto per venire via con me. E lui non certo per i soldi. Ma anche molte domande su come si possa entrare in ambienti simili senza destabilizzarli, o come far capire loro che quel che già hanno vale davvero oro.
[…] seconda parte. […]